Finalmente,
perché fin da bambina parlavo di me affermando con orgoglio e gioia
di essere femminista, e perché ho sempre avuto la sensazione di
essere un pesce fuor d'acqua, difatti le mie coetanee avevano quasi paura
di questa parola.
Finalmente, perché mi manca la dimensione collettiva del pensare
e del fare.
Finalmente, perché mi manca la dimensione collettiva del pensare
e del fare.
Finalmente, perché da sempre cerco in tutti
i modi coetanee interessate come me a interrogarsi e confrontarsi sull'autenticità
o meno dei propri desideri, sull'agio o meno dell'abitare il mondo a partire
da sé, sulle trappole del patriarcato dentro e fuori di sé;
compagne di percorso insieme alle quali inventare modi nuovi di essere
femministe, a partire dalla contemporaneità della nostra condizione,
dalla soggettività di ciascuna di noi, valorizzando le rispettive
diversità, evitando, per quanto possibile, l'imitazione di "modelli
femministi" acquisiti, di nuovi vangeli che hanno sostituito quello
del padre con quello della madre, per costruire terreno comune e non sentirsi
più straniere, inadeguate, per non avvertire più la spiacevolissima
sensazione di non aver luogo in alcun luogo.
Finalmente, perché sono anch'io fermamente convinta che "la
riflessione politica collettiva sia lo strumento più utile ed efficace
per pensare, progettare e cominciare a praticare il cambiamento".
Così, dopo aver letto il documento, ho deciso di stamparlo in più
copie e di farlo leggere a due mie care amiche, Laura e Marina, insieme
alle quali sono abituata a parlare con modalità riconducibili alla
pratica dell'autocoscienza, ma con le quali non ci eravamo mai dette di
essere un gruppo politico.
Mi piace ora pensare che siamo un gruppo politico itinerante, fra le nostre
case, il Nievski (un pub), i giardinetti
ci incontriamo e cominciamo
a parlare in modo molto intenso, di cose intime, sconvenienti, coinvolgendo
spesso altre e altri in discussioni personali e appassionate.
Tutto questo si verifica in modo spontaneo.
Spesso, quando ci troviamo al Nievski, i vicini di tavolo ci osservano,
si sbalordiscono, per gli argomenti, per le modalità, per l'emozionalità.
Mi dico: è evidente che eravamo già un gruppo politico
Così, dopo la lettura del documento, abbiamo deciso di cominciare
a incontrarci in modo regolare, una sera la settimana, il sabato o la
domenica, a casa mia.
Ho proposto inoltre la lettura del documento anche ad alcune donne conosciute
al Catania Social Forum, insieme alle quali mi sono ritrovata spesso a
parlare del disagio di fare politica in un contesto troppo segnato da
logiche, modalità e linguaggio maschile.
Sara Crescimone, che parteciperà allo sconvegno, ha deciso immediatamente
di unirsi a me, Laura e Marina, ci siamo date così il primo appuntamento
il 10 marzo di quest'anno e abbiamo cominciato a parlare.
Tuttavia, per svariate ragioni, non abbiamo elaborato un documento unitario,
che tenesse conto della complessità di ciascuna, e malgrado ciò
che scrivo nasca anche da discussioni affrontate all'interno di questo
neonato gruppo politico, così come in altri luoghi, con altre donne,
e anche uomini, è però il mio personale punto di vista.
Non sappiamo quali saranno i percorsi che seguiremo come gruppo ma verranno
da sé, e mi piace pensare che il nostro piacere di incontrarci
contempli il desiderio di ciascuna, anche nel possibile incontro e confronto
con l'esterno. Io credo che come gruppo politico non fossimo ancora pronte
ad assumerci la responsabilità di un documento pubblico, complessivo,
che tenesse conto delle nostre diversità, difatti non lo abbiamo
prodotto e abbiamo deciso di partecipare a questo sconvegno singolarmente.
In seguito si vedrà.
Per quanto riguarda il Catania Social Forum invece, insieme a Sara Crescimone,
ho proposto la nascita di un gruppo donne che comincerà a incontrarsi
a partire dalla proposta di legge sulla procreazione assistita, ma che
ci auguriamo diventi un altro spazio di confronto e elaborazione, anche
di una pratica politica diversa, non neutra.
Abbiamo così organizzato insieme a Francesca e Concetta, dopo alcuni
incontri fra di noi, un appuntamento in uno spazio pubblico della città
per martedì 30 aprile. "Un mondo generizzato è possibile,
generiamolo", così ci è piaciuto intitolare questo
primo incontro, consapevoli di voler dare voce, ascoltare anche tutte
coloro che parteciperanno, e dunque di capire il possibile percorso da
seguire insieme alle altre. Anche qui faremo, facendo.
Queste
sono alcune delle cose che ho pensato - talvolta contraddittorie - e le
domande che mi sono posta, leggendo il vostro documento
S-CONVEGNO
Mi
sembra importante ancora una volta cominciare dal linguaggio, parlato
e del corpo. Mi è piaciuta molto ad esempio l'idea di usare la
parola "s-convegno" per questo nostro incontro, all'interno
del quale diremo, mi auguro, cose s-covenienti (le due parole hanno la
stessa radice semantica). Sono convinta che sia ancora necessario osare
l'impensato e esprimerlo con forza.
A
PROPOSITO DI CONFRONTO INTERGENERAZIONALE
Se
nella mia vita è spesso mancato il confronto con le mie coetanee,
ho invece goduto di alcuni incontri fortunati con donne più adulte.
La prima mia madre, che pur non avendo partecipato attivamente al Movimento
femminista, mi ha trasmesso la bellezza e il valore dell'autonomia, nel
pensare, nel dire, e nel fare. Molti anni dopo le donne del laboratorio
di tesi Wanda, che mi hanno dato la possibilità di ricucire due
parti di me che negli ultimi anni dell'Università mi sembravano
drammaticamente sconnesse, il femminismo con l'architettura. Mi sono difatti
laureata al Politecnico di Milano con una tesi su "Luoghi politici
e spazi urbani del movimento femminista catanese". Poi l'incontro
con Emma Baeri, che di questa tesi è stata co-relatrice.
Attraverso il lavoro per la tesi, ho conosciuto molte femministe degli
anni caldi del Movimento, che mi hanno raccontato le loro storie, e mi
sono resa conto che esistono tanti femminismi, uno per ciascuna di quelle
donne. Le ho intervistate partecipando in modo intenso, lasciandomi attraversare
dalle loro parole, dalle emozioni che trapelavano durante il racconto,
mi sono posta in una dimensione di ascolto, di me stessa e delle altre,
ho espresso dubbi e opinioni, ho provato agio e disagio, ho smantellato
e rimesso insieme pezzi di me
ho conosciuto "madri" che
mi proponevano modelli e verità (con le quali il confronto è
stato complicato), e altre che mi invitavano a trovare una forma mia
io credo che la trasmissione del Femminismo vada fatta attraverso il racconto
del proprio percorso e con la lettura dei documenti storici, ma con la
consapevolezza che non esistono Verità, e che non si possono creare
nuovi modelli assoluti
le figlie sono "altro" dalle madri
biologiche e simboliche, credo che il più grosso fallimento nella
relazione madre/figlia sia il mancato governo della simbiosi, madre e
figlia devono tradirsi vicendevolmente per andare "oltre", trasgredire
credo sia necessario tradire anche se stesse talvolta, per scoprirsi
e percepirsi diverse, nuove
mi sembra positiva l'immagine di una
madre e di una figlia autonome l'una dall'altra, nel pensare e nel pensarsi,
nel dire e nel dirsi, nel fare e nel farsi
sono convinta di conseguenza
che ogni generazione politica di donne debba percorrere la propria strada
io voglio conoscere storie, ereditare saperi, confrontarmi con
chi c'è stato prima, ma voglio sentirmi protagonista, inventare
un mio modo di essere e di praticare la politica e non subire un ennesimo
modello.
A PROPOSITI DI STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA
Circondarmi
di relazioni amicali importanti e confortevoli è una strategie
di sopravvivenza, adottata per scongiurare la sensazione di solitudine
che mi trasmette il rapporto con mondi che sento come paralleli, che non
mi appartengono.
Sicuramente è una strategia di sopravvivenza aver scelto di tornare
a vivere in provincia di Catania (Acireale), aver deciso di valorizzare
le relazioni affettive che mi legano a questa città, comprese quelle
con i luoghi.
Una qualità della vita migliore. Un'ora di sole nella pausa pranzo,
il mare profumato di scoglio, e la "timpa" rigogliosa di agrumi
alle mie spalle, la vacanza quotidiana. Una corsa in campagna in compagnia
della mia cana nel week end, solo mezz'ora di strada. Il silenzio notturno
della provincia e il fervore della città, Catania, a pochi chilometri,
10 credo. Nella mia esperienza Catania è più "sveglia"
di Milano (ho abitato a Milano per quasi 10 anni).
Ho scelto di tornare ad Acireale e ho ereditato, insieme a mio fratello,
lo Studio di amministrazione di mio padre, che, con difficoltà,
ho contaminato con le mie competenze di architetta. Lavoro tanto, guadagno
poco, ma lavoro per me. Gestisco i miei progetti in tutte le loro fasi,
dall'inizio alla fine, compresa la relazione con i clienti, che ritengo
sia fra gli aspetti più interessanti della mia professione: riuscire
a far partecipare, chi andrà ad abitare uno spazio, a tutte le
fasi della progettazione e della realizzazione.
Se andassi a lavorare in uno Studio di altri forse avrei il lavoro garantito,
forse avrei più soldi, ma sarei molto più infelice, sarei
un soggetto che produce denaro per me stessa e per il mio datore di lavoro,
solo questo.
Se poi, per assurdo, mi prende molto tempo svolgere due lavori diversi,
tuttavia il fatto che lo Studio sia mio mi consente di guadagnare tempo
(più che soldi mi interessa guadagnare tempo) per fare anche altre
cose che amo. Sarebbe stato molto difficile per me riuscire a collaborare
con Emma Baeri nel lavoro di inventariazione dei documenti dell'archivio
del Coordinamento per l'Autodeterminazione della donna di Catania, se
avessi avuto un lavoro dipendente in uno Studio di altri.
Mi sembra interessante, seppur stressante per certi versi, la complessità
della mia dimensione lavorativa in un mondo che richiede sempre di più
lavoro specializzato, competenze specifiche e parziali, alienazioni di
parti di sé. Io sono tante cose insieme e separatamente.
Mi piace pensare che non sono funzionale al mantenimento dello status
- quo.
LA
LIBERTA' SESSUALE
Ma
quale libertà sessuale?
1.
Riceviamo tutte e tutti un'educazione eterodiretta.
Per i motivi più disparati ciascuna di noi sceglie e/o subisce,
a un certo punto della propria esistenza, l'eterosessualità o l'omosessualità.
Così come "resistere e/o omologarsi sono entrambe reazioni
obbligate a un sistema esistente" credo che eterosessualità
e omosessualità siano le due inevitabili risposte a un sistema
sociale che prevede solo l'eterosessualità.
L'ambiguità non è consentita, dove per ambiguità
non si intente un comportamento nascosto ma il movimento fra le possibilità
possibili.
Il sistema sociale in cui viviamo ha bisogno di normare, individuare,
catalogare.
Una donna - e anche un uomo - sessualmente nomade, capace di provare sentimenti
d'amore per donne e uomini con pari dignità, e che vive le proprie
relazioni alla luce del sole, è imprevedibile, smantella ogni modello,
disorienta, distrugge la famiglia patriarcale, totalmente, non è
riconducibile a nessuno stereotipo, per tutti questi motivi non può
avere diritto di cittadinanza, e malvista sia nel mondo eterosessuale
che in quello omosessuale
ma io ho la presunzione di pensare che
sia una delle strade possibili da praticare per uscire da molti modelli
ereditati.
2.
Credo che uno dei più grossi ricatti che le donne hanno subito
con la rivoluzione sessuale è che per sentirsi "liberate"
dovevano "darla" facilmente. Penso che sentirsi libere di scegliere
anche di non praticare sesso possa essere una strada possibile. Credo
sia fondamentale conoscere il proprio corpo e pretendere gratificazione
e piacere, sessuale e affettivo. Mi sembra liberatorio riuscire a parlare
con serenità del proprio modo di vivere la sessualità, senza
paura di essere giudicate
quante di noi discutono tranquillamente
di autoerotismo, di rapporto con la propria vagina e la propria clitoride,
eppure è una strada per conoscersi, è necessario ancora
lavorare sul corpo
3.
Se ci fosse una maggiore libertà sessuale non esisterebbero sul
web quei siti di "incontri" tanto frequentati attraverso i quali
molti e molte praticano sesso virtuale (e non solo mi auguro) garantiti
dall'anonimato
4.
Penso anche che tutte noi subiamo ancora il sogno romantico dell'amore
unico e assoluto. La pratica sessuale chiarifica la forma della relazione.
Tutte noi siamo consapevoli di non bastarci, di avere bisogno di confrontarci
con altri e altre, e che ciascuna di queste relazioni da risposte a parti
noi. Ma come mai l'unico forma di linguaggio che ci consentiamo è
quello verbale? o quello del corpo, affettivo, ma censurando parti di
esso, accuratamente, in modo arbitrario
ma attraverso quali meccanismi
interni avviene questa scelta?
eppure, quando parliamo di sessualità
siamo consapevoli che essa non è solo genitalità.
Io non credo che sia necessario andare "oltre" ad oltranza,
sempre e in ogni caso, io credo che bisogna capire cosa ci fa stare bene
e seguire quella strada, sforzandoci di ascoltare noi stesse quanto più
possibile con sincerità. Mi auspico comunque la consapevolezza,
per tutte noi, soprattutto nella scelta di dove, come e perché
porre limiti, nel senso di limes, confine appunto, possibilmente valicabile,
e non come mancanza subita
5.
Un'ultima cosa: la sensazione di destabilizzazione che ci trasmette l'assenza
di progettualità, vissuta spesso come mortifera per una relazione
di coppia. Mi chiedo perché anche la relazione di coppia per risultarci
accettabile, valida, deve essere inserita in una logica di produzione?
ANCORA
A PROPOSITO DI MODELLI EREDITATI E ANTI-MODELLI
Anni
fa mi sono sposata, e mi sono detta che avevo fatto questa scelta affinché
la mia ex suocera potesse riconoscermi in una forma per lei leggibile,
e la smettesse di creare problemi fra me e il mio ex compagno. Mi sono
sposata con rito civile, senza abito bianco, senza scambio di fedi
Anni dopo ho deciso di separarmi dal mio ex marito, e mi sono detta che
avevo fatto questa scelta perché lui mi chiedeva di ricoprire uno
dei ruoli più tradizionali per una donna, diventare mediatrice
fra lui e sua madre, diventare lo strumento e il tramite della loro relazione,
fortemente malata, mi dico
inoltre avrei dovuto scegliere di andare
a vivere nella sua città, Palermo, ma non sono stata capace di
seguirlo, la mia vita era fatta di tante altre cose che stavano altrove
e mi sembrava insopportabile scegliere di seguire mio marito
abbiamo
deciso di separarci ed è stato dolorosissimo, lo amavo.
Oggi sono serena su tutte queste scelte fatte, mi appartengono e sono
andata oltre e altrove, tuttavia mi chiedo talvolta quanto su di me abbiano
agito gli anti-modelli.
GIOCARE
CON I MODELLI EREDITATI
L'abito
bianco durante un matrimonio, le scarpe col tacco, il rossetto, la blusa
attillata, il reggiseno a balconcino, la scarpa da maschio con la gonna
corta o lunga
andare fiere del proprio corpo di femmina
essere gioiose di se, questo mi sembra ancora oggi rivoluzionario
nascondersi o reagire imitando modelli maschili mi sembra un altro modo
di subire lo stereotipo che ci viene imposto
Quando dico femmina mi sembra di recuperare la mia corporeità animale,
penso alla mia cana, alle mie gatte, al mio corpo vibrante di energia.
Mi riapproprio di qualcosa che ci hanno rubato
.
E
LA MATERNITA' - BISOGNO INDOTTO?
Ultimamente
comincio a interrogarmi sul mio possibile desiderio di maternità,
mi chiedo se è un desiderio reale o indotto
sono convinta
che il sentimento materno sia culturale, e che si possa dare risposta
ad esso in vari modi, e non solo figliando
ma esiste un desiderio
legato al corpo?
dalle discussioni con le amiche emerge che durante
l'ovulazione siamo più ricettive all'accoppiamento, è vero?
è una questione ormonale o vi è altro?
la maternità
biologica è una possibilità che il mio corpo di donna contempla,
devo o voglio vivere tutte le potenzialità?
anche scegliere
di non viverle potrebbe rivelarsi una semplice reazione a qualcosa che
si da per scontata
contemplare l'altro dentro di sé non
significa solamente procrearlo, lasciare che un pezzo di sé, che
è altro da sé, vada fuori da sé, per andare fuori
di sé o tornare in sé, in una sé diversa
forse
sto delirando
riflettendo sulla proposta di legge sulla procreazione
assistita mi sono ritrovata a pensare che è corretto che la legge
dia la possibilità a chiunque lo voglia di ricorrere alla procreazione
gratuita e assistita, alle coppie eterosessuali sposate o meno, alle coppie
omosessuali, alle donne singole
tuttavia mi sembrerebbe più
giusto attivarsi affinché diventi più facile adottare bambini
che sono già nati - il figlio non è una proprietà
- la relazione si crea soprattutto durante la crescita, credo.
Ho ascoltato testimonianze di donne che si sono rovinate l'esistenza dietro
il sogno di diventare madri
e le depressioni post parto?
mi sembrano una delle conseguenze inevitabili di un desiderio spesso improprio
perché sottoporsi ad esami invasivi sul proprio corpo, come
l'amniocentesi, per procreare bambini che siano produttivi e funzionali
al mantenimento dello status quo?
ma poi non diventa eugenetica?
e tutto questo sperimentato sul nostro corpo di donna, perché ci
mettiamo sempre a disposizione?
e non ultimo, le sperimentazioni
australiane che condurrebbero alla procreazione da ovulo ad ovulo non
sono un'ennesima espropriazione, come la clonazione, o l'utero artificiale?
perché sono contraria agli OGM e dovrei invece sopportare queste
nuove pratiche di riproduzione?
Rifiuto percorsi di vita prestabiliti, voglio sentirmi protagonista
ma come dice Adriana Sbrogiò "mi sono separata da un ruolo,
non dall'uomo".
Non voglio usare logiche maschili di contrapposizione. Se in natura i
bambini nascono dall'incontro fra spermatozoo e ovulo io credo che questo
vada mantenuto.
Mi piace pensare un mondo generizzato dove tutte le diversità abbiano
diritto di cittadinanza. Amo lo scarto fra me e chi è altro da
me, credo che la ricchezza della complessità sia una delle poche
opportunità che abbiamo per andare veramente "oltre",
e per progettare un mondo nuovo.
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